Chiara Dynys
19 Maggio - 5 Settembre 2021
Villa Panza, Varese

Sudden time

Chiara Dynys

Luce diurna e luce notturna, solidità della materia ed evanescenza dei fantasmi, luce artificiale e luce naturale, interno ed esterno, colore e ombra, corpi solidi e aloni di luce-colore che li smaterializzano, realtà tangibili e puri riflessi cromatici, quello che Chiara Dynys propone al pubblico di Villa Panza è, come sempre quando l’artista interviene direttamente sull’ambiente espositivo, una intensa avventura sensoriale.

Sudden time - Opera e mostra di Chiara Dynys - WEM, Galleria d'arte

Chiara Dynys è un’artista della luce. Ha scelto di lavorare con l’impalpabile sostanza che è pura energia, ma che non è solo energia, diventa qualcosa che ci scalda, ci fa vedere il mondo.

 

La mostra

Mario Merz usava affermare che le sue opere tendono a “versare” lo spazio in cui sono installate in un altro spazio, virtuale, immaginario, che si sovrappone a quello reale. Mi è sempre piaciuta questa espressione, versare uno spazio in un altro. Potremmo dire lo stesso delle opere che Chiara Dynys ha progettato e realizzato appositamente per questa sua mostra nei locali e nel giardino di Villa e Collezione Panza. Anche qui, in ogni ambiente viene “versato” un altro ambiente, evocato, immaginato, alluso, ma con tutta la forza trasfigurante dell’elemento impiegato, la luce, capace di condizionare la percezione dell’osservatore, i suoi occhi e il suo pensiero. Camini delle Fate si presenta come una grande parete nera costellata di luci, cioè di forme di vetro di Murano colorato, strombate in modo da sembrare cornici, tutte rettangolari ma di dimensioni diverse, ordinatamente distribuite sull’ampia superficie. Come sempre nelle installazioni a parete di Chiara Dynys, le forme sono simili ma non identiche, le sue sono sempre costellazioni di differenze. Qui l’elemento comune è solo la profondità della strombatura, per suggerirci l’idea di una famiglia di forme, per il resto cambia il formato e cambia il colore. Ogni elemento è retroilluminato, il centro della forma è occluso da una foglia d’oro zecchino, cosicché la luce si irradia su quelle che abbiamo chiamato cornici e letteralmente “accende” la superficie buia. Il titolo richiama direttamente le costruzioni ricavate nella roccia viva in Cappadocia, che si chiamano così e che sono di fatto abitazioni o chiese scavate e affrescate ad uso degli anacoreti che vi vivevano fin dall’XI secolo. Dalla roccia che custodisce e nasconde il colore degli affreschi al buio di questa parete dove risaltano le luci colorate dei vetri: ecco uno spazio evocato, antico, quasi primordiale, versato dentro un altro spazio, di cui il visitatore fa esperienza diretta, calato in un ambiente reale di cui però il buio e il baluginio dei vetri illuminati attutisce la riconoscibilità.
Giuseppe’s Door è una scultura di medie dimensioni, un volume in vetro opalescente di forma trapezoidale che reca al suo interno un’apertura rettangolare in posizione obliqua. Quest’opera ha una storia che vale la pena ricordare. Sulla scrivania del conte Panza di Biumo era posta da tempo una versione molto più piccola di quella porta, un multiplo realizzato da Chiara Dynys nel 1993. L’artista è partita da quella struttura, da quella idea formale e da quel materiale, il vetro opalescente, per rendere omaggio alla memoria di Giuseppe Panza creandone una versione più grande che vediamo qui. Questa inoltre è stata a sua volta lo spunto per la creazione di altri sei esemplari, ciascuno di un colore diverso, aprendo una nuova serie tematica su cui siamo certi che Chiara Dynys si cimenterà in futuro. Giuseppe’s Door è collocata su una base dagli angoli smussati e rivestita di una materia che ricorda il cemento, e riceve dall’alto una fonte di luce che cambia colore, creando intorno alla scultura, di un bianco lattiginoso, un alone luminoso ritmicamente diverso. Dal rosa al fucsia, all’arancione al rosso questo alone fa di Giuseppe’s Door un corpo cangiante, all’unisono con i colori mutevoli nella sala attigua. L’artista infatti ha ottenuto di praticare una fessura in una delle pareti perché la luce di quella sala fosse chiamata in causa anche in questa, così intervenendo, sia pure lievemente, a modificare la struttura architettonica dello spazio.
L’installazione la cui luce si irradia sulla scultura si intitola Melancholia. Si tratta di una doppia proiezione alle due pareti ad angolo, dove sopra un cerchio luminoso che trascolora nei termini sopra descritti si sovrappone un cerchio scuro. Interessante l’osservazione dell’artista, che in fondo motiva l’opera stessa: l’osservatore quasi immancabilmente assocerà il progressivo spostamento dell’oscuro sul luminoso alle fasi della luna, pensando magari a un’eclissi lunare velocizzata dalla sua riproduzione meccanica. Più difficilmente la nostra attenzione sarà volta al meccanismo che consente una simile associazione mentale. Melancholia insomma sembra essere stata pensata come un dispositivo che mette in opera la nostra facoltà immaginativa, il nostro potere di “integrazione fantastica”, più che il nostro pensiero razionale. All’interno di queste sale aleggia un’atmosfera raccolta, quasi un invito a un atteggiamento di raccoglimento e introspezione. All’esterno invece campeggia la grande Giuseppe’s Door, annunciata dalla scultura di minori dimensioni che però non va vista come una maquette ma come un’opera in sé definita e autonoma. Meglio considerarla come un annuncio di quello che il pubblico vedrà, in grande, all’esterno, nel giardino di Villa Panza. E quello che si vede è propriamente posto “in piena luce”, e non solo per la sua collocazione. Vediamo qui una grande porta, alta circa tre metri, dove le dimensioni accentuano quell’aspetto di irregolarità indotto dal formato trapezoidale, posto inoltre in posizione leggermente inclinata, quasi che una parte della struttura si sia infossata nel terreno. Più forte anche l’effetto di squilibrio portato dall’apertura obliqua; insomma la porta di Giuseppe, omaggio a Giuseppe Panza di Biumo, alla persona e al collezionista, non è un Arco di Trionfo, non si impone perentorio nel paesaggio, non è un monumento in pietra tetragono agli eventi. Possiede però, ed emana, la forza che gli dà la luce naturale. Quest’opera è composta interamente da vetro di Murano fuso, accorpato da elementi di acciaio e di corten, ha una struttura quasi trasparente che lascia visibili tali strutture portanti interne e che si lascia attraversare dai raggi solari. Quel che più conta: il vetro è stato elaborato in modo da diventare fotosensibile, esso accumula la luce durante il giorno e la diffonde di notte, divenendo una grande costruzione fluorescente che si staglia nel buio, una presenza quasi fantasmatica, come dice l’artista.
Dunque, luce diurna e luce notturna, solidità della materia ed evanescenza dei fantasmi, luce artificiale e luce naturale, interno ed esterno, colore e ombra, corpi solidi e aloni di lucecolore che li smaterializzano, realtà tangibili e puri riflessi cromatici, quello che Chiara Dynys propone al pubblico di Villa Panza è, come sempre quando l’artista interviene direttamente sull’ambiente espositivo, una intensa avventura sensoriale.

A cura di Giorgio Verzotti

Sudden time - Opera e mostra di Chiara Dynys - WEM, Galleria d'arte

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